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BUON NATALE

Natale 17Ogni anno il presepe e l’albero di Natale ci parlano col loro linguaggio simbolico. Essi rendono maggiormente visibile quanto si coglie nell’esperienza della nascita del Figlio di Dio. Sono i segni della compassione del Padre celeste, della sua partecipazione e vicinanza all’umanità, che sperimenta di non essere abbandonata nella notte dei tempi, ma visitata e accompagnata nelle proprie difficoltà. L’albero proteso verso l’alto ci stimola a protenderci “verso i doni più alti” (cfr 1Cor 12,31), a innalzarci al di sopra delle nebbie che offuscano, per sperimentare quanto è bello e gioioso essere immersi nella luce di Cristo. Nella semplicità del presepio noi incontriamo e contempliamo la tenerezza di Dio, manifestata in quella del Bambino Gesù. (Papa Francesco 7 dicembre 2017)

Buoni giorni di Natale a tutti

Avvento

Nuova immagine (1)Nel corso dell’anno liturgico, l’Avvento è il tempo che non solo ci prepara a celebrare il ricordo-memoriale della nascita di Gesù Cristo, ma anche il tempo che ci proietta verso la seconda venuta del Figlio di Dio, quando alla fine dei tempi “verrà nella gloria a giudicare i vivi e i morti”, introducendoci nel suo regno che non avrà mai fine.
La liturgia illustra le qualità che devono caratterizzare ogni cristiano in questo tempo di grazia spirituale:

  • la vigilanza, virtù specifica di chi vive in fervorosa attesa del Messia Salvatore;
  • la fede, nutrimento e sostegno per accogliere, come Maria, il mistero di Dio divenuto uomo per la nostra salvezza;
  • la speranza, di chi confida nell’amore misericordioso di Dio;
  • la conversione, l’impegno sollecito ed urgente di chi si prepara all’incontro con Cristo;
  • la preghiera, affettuosa invocazione all’Atteso: Vieni, Signore Gesù (Ap 22, 20);
  • la gioia, espressione di un’attesa che si concretizza in una Persona e che si apre al suo completamento nel Regno dei cieli.

L’Avvento è dunque il tempo propizio per far spazio a Cristo, l’unico medico che solo può guarire le nostre debolezze e consolarci con la sua presenza.

«Come nella vita di ognuno di noi c’è sempre bisogno di ripartire, di rialzarsi, di ritrovare il senso della mèta della propria esistenza, così per la grande famiglia umana è necessario rinnovare sempre l’orizzonte comune verso cui siamo incamminati: L’orizzonte della speranza! Quello è l’orizzonte per fare un buon cammino. Il tempo di Avvento, che oggi di nuovo incominciamo, ci restituisce l’orizzonte della speranza, una speranza che non delude perché è fondata sulla Parola di Dio. Una speranza che non delude, semplicemente perché il Signore non delude mai!
Il modello di questo atteggiamento spirituale, di questo modo di essere e di camminare nella vita, è la Vergine Maria. Una semplice ragazza di paese, che porta nel cuore tutta la speranza di Dio! Nel suo grembo, la speranza di Dio ha preso carne, si è fatta uomo, si è fatta storia: Gesù Cristo. Il suo Magnificat è il cantico del Popolo di Dio in cammino, e di tutti gli uomini e le donne che sperano in Dio, nella potenza della sua misericordia. Lasciamoci guidare da lei, che è Madre, è mamma e sa come guidarci. Lasciamoci guidare da Lei in questo tempo di attesa e di vigilanza operosa.»[1]

Papa Francesco


[1] Papa Francesco, Angelus 1 dicembre 2013, I domenica d’Avvento.

Ascoltare per Amare

incontro - dialogo

Condizione indispensabile per conoscere l’altro e stabilire una relazione feconda con lui, o con lei, è l’amore fondato sull’ascolto.
Se fossimo artigiani dell’ascolto, anziché maestri del dire, potremmo certamente promuovere una più profonda e fraterna relazione fra le persone: «Ascolta… Amerai il Signore… il prossimo tuo…».
Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo. Come l’amore di Dio comincia con l’ascolto della sua Parola, così l’inizio dell’amore per il fratello e la sorella comincia con l’ascoltarlo/a.
«E’ per amore che Dio, non solo ci dà la sua Parola, ma ci porge anche il suo orecchio. Altrettanto, è opera di Dio se siamo capaci di ascoltare il fratello, o la sorella».[1]


[1] Dietrich Bonhoeffer, Etica, Queriniana 1995.

Amore = comunione

La parola che meglio esprime il mistero dell’amore totale di Dio che dona se stesso è ‘comunione‘.

È la parola che contiene la verità secondo la quale, in e attraverso Gesù, Dio vuole non soltanto insegnarci, istruirci o ispirarci, ma farsi uno con noi.
Dio desidera essere pienamente unito a noi in modo che tutto di Dio e tutto di noi possa essere unito insieme in un amore eterno.

Tutta la lunga storia della relazione di Dio con noi esseri umani è una storia di comunione che si approfondisce sempre di più. Non si tratta semplicemente di una storia di unioni, separazioni e unioni restaurate, ma di una storia in cui Dio è in continua ricerca di modi sempre nuovi per fare intimamente comunione con coloro che sono stati creati a immagine di Dio.

Agostino diceva: «Il mio cuore è inquieto finché non riposa in te, o Dio», ma quando esamino la storia tortuosa della nostra salvezza, vedo che non soltanto noi desideriamo ardentemente appartenere a Dio, ma che anche Dio anela appartenere a noi. Sembra come se Dio ci stesse dicendo a gran voce: «Il mio cuore è inquieto fin che non potrà riposare in voi, mie amate creature».
Da Adamo ed Eva ad Abramo e Sara, da Abramo e Sara a Davide e Betsabea e da Davide e Betsabea a Gesù e sempre da allora, Dio grida forte per essere ricevuto dai suoi.
«Vi ho creato, vi ho dato tutto il mio amore, vi ho guidato, offerto il mio sostegno, promesso l’avveramento dei desideri del vostro cuore: dove siete, dov’è la vostra risposta, dov’è il vostro amore? Cos’altro vi devo fare affinché mi amiate? Non cederò, continuerò a tentare. Un giorno scoprirete quanto io desideri il vostro amore!».

Dio desidera comunione: una unità che sia vitale e viva, un’intimità che venga da entrambe le parti, un vincolo che sia veramente mutuo. Niente di forzato o ‘voluto’ ma una comunione liberamente offerta e liberamente ricevuta. Dio prova tutte le vie per rendere possibile questa comunione.

La forza della Sua presenza

È il grido più profondo del cuore di Dio e del nostro, poiché siamo fatti con un cuore che può essere soddisfatto soltanto da colui che lo ha fatto. Dio ha creato nel nostro cuore una sete di comunione che nessuno ad eccezione di Dio può, e vuole, appagare. Dio sa questo. Invece noi raramente. Continuiamo a cercare da qualche altra parte quell’esperienza di appartenenza. Guardiamo lo splendore della natura, le agitazioni della storia e l’attrattiva delle persone, ma quella semplice frazione del pane, così comune e non spettacolare, sembra un luogo così improbabile per trovare la comunione cui aneliamo.[1]


[1] H.J.M.Nouwen, La forza della Sua presenza. Meditazione sulla vita eucaristica, Queriniana 1995.

Davanti alla Parola

barcaIl cammino verso Dio comincia con il lungo lavoro della ricerca della verità (innanzitutto su noi stessi); senza la quale non ci può essere Vita.

L’aiuto che riceviamo da Dio è grande e molteplice e comincia con l’ascolto della sua Parola con cui non solo ci rivela sé, ma anche noi stessi.

La sua Parola è uno specchio davanti a cui Dio ci mette perché vediamo così come siamo, nella Verità e siamo invitati a convertirci.

La parola di Dio è una grazia che entra in noi, se prestiamo un ascolto attento e obbediente, e ci purifica, ci vivifica, ci salva.[1]


[1] C. Falletti, Come voce di sottile silenzio, Paoline 2008, 106.

Con gli occhi aperti….

Immagine“La vera contemplazione è quella che vede Dio nelle cose, ma per arrivare a questo punto bisogna vedere le cose, conoscerle, sapere come sono, sperimentarle, vale a dire che bisogna agire, fallire, vincere, soffrire, in una parola, vivere. 

…..

Maria […] donna normale e senza complicazioni, ci insegna a semplificare. Non c’è azione da una parte e contemplazione dall’altra; propositi di qua e regole e cautele di là. Tutto è più semplice e più facile. C’è semplicemente vita, vale a dire fiat, il fiat luminoso […] che ripetiamo con le nostre vite…”

(R. Panikkar)

Questa voce è stata pubblicata il 29 novembre 2012, in news. 1 Commento

Conquistato…

C’è un mondo aperto nel cuore di ciascuno, sconosciuto persino a chi lo possiede; un mondo dove il respiro è lieve e calmo, dove ogni parola è pacata, quasi solenne, dove ogni movimento è danza armoniosa.
Sono gli spazi del cuore, il luogo dove la Vita si nasconde e cresce silenziosa ma tenace, pronta a far fronte alle tempeste che agitano la superficie del cuore.

Naviga verso la profondità! Senza paura perché il silenzio non è nemico, ma fratello e compagno di viaggio.

Naviga verso la profondità! Ancora e ancora, così che gli occhi possano abituarsi a una luce nuova, che non ferisce ma svela le sfumature impreviste del vivere.

Naviga verso la profondità! Per lasciarti sorprendere dall’imprevedibile sorpresa di una vita sovrabbondante  che si dibatte scintillante dentro una rete leggera, divenuta improvvisamente colma.

Naviga verso la profondità! Leggero nella brezza del mattino, fiducioso e curioso di vivere per scoprire la strada e la meta, guidato dalla parola del Maestro che ti un giorno ti ha lanciato la sfida, ha fatto saltare il banco e ti ha inesorabilmente attratto e conquistato.

Un “coraggioso testimone del Vangelo”

Giovedì all’ora di pranzo, a Brancaccio (PA), le campane hanno suonato a festa. E’ stato infatti poco dopo le 13 che da Roma è arrivata la notizia ufficiale: a diciannove anni dalla morte, Benedetto XVI ha dato il via libera alla beatificazione di don Pino Puglisi, il sacerdote ucciso dalla mafia a Brancaccio il 15 settembre 1993.

Anche le campane della Cattedrale hanno suonato a festa quando il cardinale ha dato ufficialmente la notizia della beatificazione del sacerdote palermitano, mentre la sala gremita di preti, seminaristi e semplici fedeli è scoppiata in un fragoroso applauso con i presenti tutti in piedi.

Una lunga attesa, quella della chiesa palermitana, durata 19 anni.

Diciannove anni che a molti sono sembrati anche troppi, ma che, spiega il cardinale, sono tempi fisiologici per la chiesa che ha studiato a lungo la vita del sacerdote. “In tanti hanno sognato questo giorno – ha detto l’arcivescovo Romeo – lo avrà sognato il cardinale Pappalardo, che è in cielo, come il cardinale De Giorgi, che oggi compie 59 anni di sacerdozio. Don Pino è stato uno strumento nelle mani di Dio, un comunicatore di pace, un esempio, capace di farsi carico dei fratelli, innamorato dell’uomo. E sulla sua scia, ognuno di noi deve impegnarsi nella società per cambiarla”.

Don Pino sarà martire per la chiesa, anche se per Palermo lo è da 19 anni, da quando venne ucciso dalla mafia davanti al portone di casa intorno alle 20.45, in piazza Anita Garibaldi, nel giorno del suo 56esimo compleanno. “Il futuro della Sicilia non dipende da altri – ha concluso l’arcivescovo – ma da ciò che ciascuno fa, anche dall’impegno della chiesa. Un cambio di cultura sarà possibile se qualcuno farà qualcosa anche a rischio della propria vita, come don Pino Puglisi”.

“A Brancaccio, dove c’è la sua statua in piazza – sostiene Maurizio Artale, il responsabile del centro Padre Nostro – Puglisi è già venerato come un santo. Oggi non cambia granché: da sempre lo consideriamo una persona straordinaria, un uomo giusto. Noi ci abbiamo sempre creduto. Attendevamo questa notizia. Adesso, è chiaro, crescerà la partecipazione emotiva. E ci aspettiamo dalla Chiesa l’impegno a diffondere la conoscenza di don Puglisi attraverso la catechesi scolastica. Purtroppo don Pino non è conosciuto da tutti come Falcone e Borsellino”.

La notizia della sua beatificazione è stata commentata così dal sindaco della città di Palermo, Leoluca Orlando: “È una bellissima notizia che rende felice tutta la città di Palermo e tutta l’Italia, don Pino Puglisi è un martire che ha dato la sua vita in difesa degli ultimi e della legalità e che ha testimoniato con la sua intera esistenza il valore della solidarietà e dell’accoglienza”. Un esempio, insomma, per le nuove generazioni, nelle parole di Orlando “un faro nella lotta alla mafia”.

Ecco chi era…

Il piccolo prete chiamato “3P”. nasce nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta.

Entra nel seminario diocesano di Palermo nel 1953 e nel 1930 viene ordinato sacerdote. Nel 1961 viene nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS.mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi.

Nel 1967 è nominato cappellano presso l’Istituto per orfani di lavoratori «Roosevelt» e vicario presso la parrocchia Maria SS.ma Assunta Valdesi. Sin da questi primi anni segue con attenzione i giovani e si interessa delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.

Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo – segnato da una sanguinosa faida – dove rimane fino al 31 luglio 1978 riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono.

In questi anni segue anche le battaglie sociali di un’altra zona della periferia orientale della città, lo «Scaricatore».

Il 9 agosto 1978 è nominato pro-rettore del Seminano minore di Palermo e il 24 novembre dell’anno seguente direttore del Centro Diocesano Vocazioni.

Nel 1983 diventa responsabile del Centro Regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale. Agli studenti e ai giovani del Centro Diocesano Vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di “campi scuola”, un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano.

Don Giuseppe Puglisi è stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole.

Ha insegnato al liceo classico Vittorio Emanuele II a Palermo dal 78 al 93.

Dal 23 aprile 1989 sino alla morte svolse il suo ministero sacerdotale presso la Casa Madonna dell’accoglienza in favore di giovani donne e ragazze in difficoltà.

Nel 1992 assume l’incarico di direttore spirituale nel Seminario Arcivescovile di Palermo.

Il 29 settembre 1990 è nominato parroco della Parrocchia S. Gaetano di Brancaccio. L’annunzio di Gesù Cristo desiderava incarnarlo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.

La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede.

Un’azione quotidiana condotta discretamente, lontano da televisioni e giornali, ma proprio per questo tanto più efficace e trasgressiva. Fu proprio quest’opera di rigenerazione delle coscienze ma anche di affermazione della legalità che decretò la condanna a morte di don Puglisi, divenuto subito il simbolo dell’impegno sociale della chiesa in un territorio controllato dalla mafia.

Nel gennaio 1993 aveva aperto il centro ”Padre Nostro”, diventato in breve tempo punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere.

Per l’omicidio mandanti ed esecutori sono già stati condannati, in Cassazione. Ergastolo ai boss Giuseppe e Filippo Graviano. Sedici anni al killer, il reo confesso, diventato poi collaboratore di giustizia. Ergastolo anche per gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete: Gaspare Spatuzza (che nel 2010 ha dichiarato di essersi convertito grazie a don Pino, ndr), Cosimo Lo Nigro, Luigi Giacalone e l’allora reggente della cosca Nino Mangano. Arrestato il 20 giugno del 1997, Grigoli, chiamato ”il cacciatore” per la sua mira, utilizzò una calibro 7.65 parabellum munita di silenziatore. Ai magistrati che lo hanno interrogato ha sempre ripetuto: ”Non ho esperienza di santi. Quello che posso dire è che lui emanava una specie di luce. Me lo ricorderò per sempre quel sorriso”.

Nel ricordo del suo impegno, scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze a lui sono state intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia.

A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l’apertura dell’anno pastorale della diocesi di Palermo.

La sua vita e la sua morte sono state testimonianze della sua fedeltà all’unico Signore e hanno disvelato la malvagità e l’assoluta incompatibilità della mafia con il messaggio evangelico.

Presentato l’Anno della Fede

La più grande sfida che la Chiesa si trova ad affrontare in questo momento, secondo Benedetto XVI, è la “profonda crisi di fede che ha toccato molte persone”. Come risposta, il papa ha indetto tra il 2012 e il 2013 l’“Anno della fede” al fine di esortare i membri della Chiesa ad essere testimoni di Gesù Cristo, capaci di indicare la “porta della fede” a tanti uomini e tante donne che sono alla ricerca della verità.

«Fin dall’inizio del mio ministero come Successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia ed il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo.
Non possiamo accettare che il sale diventi insipido e la luce sia tenuta nascosta (cfr Mt 5,13-16). Anche l’uomo di oggi può sentire di nuovo il bisogno di recarsi come la samaritana al pozzo per ascoltare Gesù, che invita a credere in Lui e ad attingere alla sua sorgente, zampillante di acqua viva (cfr Gv 4,14).
Alla luce di tutto questo ho deciso di indire un Anno della fede.
L’Anno della fede è un invito ad un’autentica e rinnovata conversione al Signore, unico Salvatore del mondo.»[1]

Questo anno, quindi, si rivolge in primo luogo a tutta la Chiesa perché dinanzi alla drammatica crisi di fede che tocca molti cristiani sia capace di mostrare ancora una volta e con rinnovato entusiasmo il vero volto di Cristo che chiama alla sua sequela.
È un anno per tutti noi, perché nel cammino di fede sentiamo la necessità di rinvigorire il passo, divenuto a volte lento e stanco, e rendere la testimonianza più incisiva.

E allora auguriamo a tutti noi che sia davvero un anno dedicato alla fede, alla tenacia di chi l’alimenta tutti i giorni con convinzione, di chi fatica a tenerla salda e di tutti quei fratelli che non ancora non hanno fatto entrare Dio nella propria vita.


[1] Cfr.  Papa Benedetto XVI, Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Porta Fidei, 11 ottobre 2011.